Necessario Aggiornare Flash Player (richiesta versione 8)
Quattrocento anni di amicizia

Esiste un legame antico e speciale tra l’Italia e il Brasile. L’America del Sud è stata una delle aree del mondo dove si è maggiormente diretta l’emigrazione italiana che ha visto in poco meno di un secolo l’esodo dalla madre patria di circa 50 milioni di persone verso luoghi dove trovare condizioni di vita migliori da quelle che un paese arretrato poteva offrire. Tra le mete l’Argentina, dove il 40 per cento della popolazione, è di origine italiana, l’Uruguay con un medesimo 40 per cento e il Brasile dove, tra il 1870 e il 1950, ben due milioni di italiani trovarono rifugio e opportunità di lavoro.
Furono principalmente le regioni meridionali - Rio Grande del Sud, Santa Caterina, lo Stato di San Paolo - ad accogliere ogni anno per quasi un secolo decine di migliaia di emigranti. La grande svolta della presenza degli Italiani in questo paese avviene quando verso il 1875 comincia ad entrare in crisi il lavoro schiavistico. Gli schiavi negri non erano in grado di sostenere lo sviluppo agricolo, di lavorare con profitto e redditività nelle grandi piantagioni, ad esempio quelle di caffè di San Paolo, o di sviluppare una agricoltura moderna negli Stati di Rio Grande del Sud o di Santa Caterina e di fornire una mano d’opera specializzata in alcuni settori artigianali, della nascente industria o nelle attività commerciali. L’immigrazione italiana proviene almeno per due terzi dalle regioni del nord Italia. Ancor’oggi vi sono in alcune zone del Brasile, come a Rio Grande del Sud, radio che trasmettono in veneto, mentre nella zona di Rio de Janerio si registrò un’immigrazione di provenienza meridionale: in special modo di calabresi. Le autorità brasiliane del tempo facevano sforzi grandissimi per attrarre questi lavoratori italiani non solo per assicurare alle imprese una mano d’opera di più elevata laboriosità, ma anche perché intendevano, con l’arrivo di europei, “sbiancare” la popolazione del Brasile.
Gli italiani, in particolare, furono sempre ben accolti per il buon carattere, l’abilità nel lavoro e per la capacità di integrarsi rapidamente con la popolazione locale attraverso decine di migliaia di matrimoni anche con le donne di colore.

In Brasile la lingua parlata è il portoghese, la religione era ed è quella cattolica: questo spiega le ragioni di una assimilazione che ha lasciato nei cognomi e nella memoria un atteggiamento di simpatia generale verso l’Italia e gli Italiani. Forti eredità che non hanno dato origine a colonie distinte, a realtà italiane permanenti, anche se l’italiano, la cultura italiana, l’Italia è ben presente nelle città brasiliane. Pensate a San Paolo dove l’“italianità” è uno degli elementi più marcati e più caratterizzanti.
È una storia lunga e complessa quella della immigrazione italiana in Brasile, delle sue vicende nei vari Stati del paese. Talvolta il governo italiano dovette intervenire addirittura per proibire, verso la fine del secolo scorso, l’immigrazione degli italiani per le difficoltà e le pessime condizioni di vita che dovevano affrontare. Questo, nonostante lo sforzo dei governi statali, dell’Imperatore, del suo governo che favoriva in ogni modo l’arrivo di mano d’opera italiana pagando il viaggio dall’Europa al Brasile, con la concessione di piccoli lotti negli Stati del Sud, dove le condizioni climatiche, più vicine a quelle del luogo d’origine, attiravano maggiormente gli italiani.
Con i suoi circa due milioni di immigrati, l’Italia fu il Paese che dette il contributo più cospicuo all’immigrazione globale di europei che toccò quota quattro milioni e mezzo negli anni dal 1870 al 1950.
La presenza italiana è visibile nell’apporto alla cultura, alle arti e all’economia. Ricordiamo qualche nome: industriali come Pignatari e Matarazzo, uomini politici come l’ex governatore dello Stato di Rio de Janerio e leader nazionale del partito laburista democratico (P.D.T.) Leonello Brizola di recente nel governo Lula i ministri delle finanze Palocci e Mantega.
Qui visse a lungo il nostro eroe nazionale Giuseppe Garibaldi, che nel 1836 sbarcò in Brasile e dette il suo generoso contributo agli abitanti di Rio Grande del Sud che tentavano, nella guerra del “Farrapos”, di creare una Repubblica indipendente dall’allora Impero del Brasile. Garibaldi, dopo 12 anni di presenza in Brasile e in Uruguay, tornò nel 1848 in Italia con al fianco una splendida donna brasiliana, Anita Garibaldi, che non mancò di dare un generoso contributo alla lotta per l’unità d’Italia, pagando il suo impegno con la vita. In una recente miniserie televisiva, Casa della sette donne, la vita brasiliana e gli amori dei nostri due eroi hanno avuto un grande spazio con grande successo di pubblico

Certamente la presenza degli italiani a Bahia non può essere paragonata a quella verificatasi in altre zone del Brasile. La città di Salvador e lo Stato di Bahia non furono in grado di uscire dalla fase di decadenza nei confronti degli altri Stati a causa del costante declino della canna da zucchero. Pur tuttavia si può parlare anche per lo Stato di Bahia, e per la città di Salvador, di presenze italiane significative a partire dall’uomo che scoprì la baia nella quale sarebbe sorta successivamente la città di Salvador: Amerigo Vespucci, che nel 1501 esplorò le coste della terra scoperta un anno prima da Pedro Arvares Cabral nel suo viaggio verso l’India. Le parole con le quali Vespucci descrisse la Baia di Todos os Santos, potrebbero essere ancora oggi utilizzate per raccontare in maniera sintetica la sua natura: “bella e sicura”.
La successiva colonizzazione portoghese vide presenze di non grande rilievo di italiani. Dobbiamo arrivare fino al 1624, nella guerra tra olandesi, portoghesi e spagnoli per il possesso della città di Bahia per trovare altri italiani. Nel 1624 gli olandesi nel tentativo di occupare il Brasile per mettere le mani sull’immensa ricchezza rappresentata a quel tempo dalla coltivazione della canna da zucchero, sbarcarono a Bahia, città che tennero un anno intero.
I portoghesi e i brasiliani che allora erano governati dalla Spagna organizzarono l’anno dopo una spedizione militare nella quale era presente un forte nucleo di 600 soldati napoletani che contribuirono alla liberazione della città e che si distinsero anche nelle successive battaglie nello Stato del Pernambuco tra gli iberici e le forze olandesi che anche là avevano tentato di impadronirsi del grande mercato dello zucchero.
In quegli stessi anni e nei secoli successivi è significativa la presenza degli italiani nei vari ordini religiosi che il cattolicissimo Portogallo inviava: gesuiti, cappuccini e francescani illustrarono con la loro fede e con la loro cultura l’importanza dell’Italia dirigendo seminari, scrivendo testi importanti sulle potenzialità economiche del Brasile. Bisogna aspettare il 1836 per incontrare una vicenda che ha del romanzesco e che non è poco definire straordinaria.
Un rappresentante della Associazione bahiana per la colonizzazione stipula un trattato con le autorità dello Stato Pontificio. Viene deciso che decine di prigionieri politici ottengano la libertà a condizione che si trasferiscano in Brasile e così il 22 febbraio del 1837, circa una sessantina di italiani, provenienti in gran parte dal carcere di Civitacastellana con condanne che andavano dall’ergastolo a decine di anni, partono dal porto di Civitavecchia insieme a trenta cittadini pontifici che avevano deciso spontaneamente di emigrare. Al loro arrivo le autorità baiane, che non sanno nulla dell’accordo stipulato dal loro rappresentante in Italia, si rifiutano di accogliere questi immigranti. Dopo varie vicende nelle quali gli italiani sono costretti ad affrontare difficoltà durissime, vengono accolti, ma poco dopo a Bahia scoppia una rivoluzione che i brasiliani chiamano “Sabinata”, dal nome del movimento che tenta di instaurare la Repubblica e di staccare Bahia dal Brasile. È una sollevazione dai contenuti liberali e fortemente avanzata sul piano sociale. È naturale che gli italiani, tutti imprigionati per reati politici e provenienti dalle turbolente provincie degli Stati pontifici di Bologna e delle altre città della regione, partecipino in massa. Una volta repressa la sollevazione, le autorità imperiali protestano duramente con il governo pontificio. Molti di loro furono rimandati in Italia, alcuni poterono rimanere e godettero in tarda età, dopo il raggiungimento dell’unità d’Italia, di un indulto che permise loro di tornare da uomini liberi in Italia.
Un altro episodio rilevante, anche perché accaduto in anni lontani dall’inizio del grande flusso dell’immigrazione è quello legato al lavoro di quasi mille italiani giunti da Torino e da altre città del nord, nel 1856, per lavorare per quattro anni alla costruzione di una ferrovia tra Bahia e Juazeiro. Gli italiani erano diretti da ingegneri inglesi. È interessante leggere le loro relazioni che, pur esprimendo riserve sulla turbolenza degli italiani, in linea generale ne apprezzano la capacità di lavoro di fronte a condizioni estremamente difficili e dure: allora la febbre gialla era una malattia cronica che faceva periodiche stragi.
Nelle relazioni è scritto che gli italiani si lamentavano spesso della “cattiva qualità del vino”.

Terminata la costruzione della linea ferrata, la quasi totalità dei mille operai ritornarono in Italia. Ma andiamo ancora più indietro. È nel 1820 che si ha notizia, per la prima volta, della esistenza di una piccola colonia italiana a Bahia. Nel 1850 sono circa centocinquanta secondo le valutazioni del console di uno degli Stati italiani (il Regno di Sardegna, lo Stato Pontificio, il Regno di Napoli) che mantenevano a quel tempo dei vice consoli a supporto dell’intenso traffico tra Bahia e la nostra penisola. Bisogna aspettare però il 1861 per trovare la prima presenza organizzata: in quell’anno nacque la “Società italiana di ricreazione e beneficenza”.
In questa fase nonostante le richieste del console italiano al presidente della Provincia di Bahia non si è in grado di quantificare presenze che pur ci sono nella realtà bahiana. Certamente, anche se non significative sul piano numerico, sono qualificate, trattandosi di persone impegnate in attività commerciali, artigianali, culturali.
Se le relazioni tra l’Italia e il Brasile sono state sempre contrassegnate da un rapporto di amicizia e di reciproca simpatia, vi è un episodio avvenuto verso la fine del secolo che aprì una fase di tensione fra i due paesi. Nel 1896 si accende una grave disputa in merito alle condizioni dettate dall’Italia per il rimborso dei prestiti contratti dal Brasile. Vi sono dure proteste in tutto il Paese e cortei di giovani a San Paolo dove muore un manifestante. A Bahia nell’agosto del 1896 gli studenti di medicina e di diritto danno vita a una protesta contro l’Italia che fortunatamente non sfocia in nessun atto di violenza nei confronti degli italiani che proprio nel centro della città percorso dal corteo avevano le loro attività, i negozi e le loro officine meccaniche. I bahiani dettero così dimostrazione di saper distinguere nettamente tra le politiche dei governi e quei cittadini italiani che ormai da tempo vivevano con loro in piena armonia.

Bahia continua a non essere terra di immigrazione di massa: secondo i dati riportati da alcuni storici bahiani nel 1920 vi erano 1.448 italiani, nel 1940 erano scesi a 900, nel 1950 risalirono a 1.924 mentre nel 1970 erano 1.110. Nel 1912 è lo stesso governatore Seabra che porta da San Paolo un consistente numero di tecnici italiani dell’edilizia e dell’architettura che lasceranno consistenti segni nell’aspetto di Bahia contribuendo notevolmente a rinnovarne l’immagine. Va ricordato l’ingegnere Santoro che, venuto da San Paolo, svolse negli anni Venti e Trenta una intensa attività edilizia nella città di Salvador e che poi ritornò in Italia. Solamente negli anni Ottanta suo figlio Carlo, dopo più di cinquant’anni di assenza, fece ritorno a Bahia per studiare i lavori del padre. Il più noto è senza dubbio il palazzo dalle singolari linee architettoniche, che è ancora la sede dei Vigili del fuoco, in pieno centro. Importante è la presenza della famiglia dei Magnavita, venuti dalla Calabria e che si erano stabiliti inizialmente acquistando cospicui terreni nella città di Belmonte. Successivamente Maria Luigia, una delle figlie, studiò in Italia e nel ‘43 assunse la cattedra di Lingua e Letteratura Italiana che tenne per decine di anni. Altra presenza di grande rilievo è quella di suo marito, il filosofo Romano Galeffi, che con alcuni libri sull’estetica introdusse questa disciplina nelle Università baiane acquistando prestigio e rinomanza.

All’inizio degli anni Cinquanta si realizza l’ultimo esperimento di immigrazione agricola italiana realizzata a Bahia negli anni del dopoguerra. L’esperimento fu ideato durante il governo di Mangabeira. Furono stipulati accordi sull’impiego di 50 famiglie abruzzesi da immettere nei nuclei coloniali di Itirussu e Jaguaquara. Le famiglie vennero scelte in Italia dalla “Società lavoratori agricoli per il Brasile” di Pescara. A questi italiani il governo assegnava un lotto di circa 150 ettari e una casa da pagare a rate in 10 o 15 anni. Nonostante alcune difficoltà iniziali per la siccità e la mancanza di finanziamenti, l’esperimento diede dei risultati largamente positivi: i lavoratori italiani introdussero varie coltivazioni ortofrutticole e innovazioni agricole. Spesso a Bahia capita di incontrare persone anziane che parlano un vecchio e perfetto pescarese e un ottimo portoghese, ma che non sono capaci di esprimersi in italiano. Sono il frutto dell’ultima immigrazione di una certa consistenza verificatasi nello Stato di Bahia.
Per concludere il discorso sulla presenza dell’Italia a Bahia non si può non parlare della Associazione “Dante Alighieri”, creata dal professore Romano Galeffi, che ha diffuso e diffonde la lingua, la cultura e la civiltà italiana. Oltre alla “Dante Alighieri” le strutture italiane esistenti non sono molte e fanno riferimento al vice Consolato Italiano e alla Casa d’Italia che svolge una attività di cultura. Una importante presenza è data dall’Ospedale San Raffaele, una iniziativa voluta dall’omonimo nosocomio di Milano, inaugurata verso la fine degli anni Settanta, che fornisce servizi ospedalieri ad altissimo livello scientifico e tecnico contribuendo con le sue attività ad alleviare le condizioni di alcuni quartieri poverissimi.


torna indietro torna sopra